Ѐ difficile essere genitori?

E ancora, è difficile essere “buoni” genitori?
Come disse una docente universitaria a me cara, il solo fatto che ci poniamo delle domande fa di noi ottimi candidati per essere buoni genitori.
Ma come si impara a essere genitori? Purtroppo non esiste un manuale universale, sì esistono buoni libri, più o meno specifici, ma ognuno di noi è diverso e i nostri figli sono diversi. In genere tendiamo a comportarci con l’unico esempio che abbiamo avuto e che ci ha coinvolti da vicino: i nostri genitori. Tendiamo quindi a riproporre schemi acquisiti e comportamenti appresi, cercando, se abbiamo avuto genitori più o meno adeguati, di ricalcare le loro orme, copiando atteggiamenti e regole. Questo è il modo che conosciamo per essere genitori, si chiama “eredità transgenerazionale” che, a volte, è un bene ma può portare anche problematiche irrisolte o pesanti fardelli.

Selma Fraiberg, psicoanalista infantile, autrice e assistente sociale americana, ci insegna come i genitori possono trasmettere ai figli aspetti della propria infanzia ed essere consapevoli di questo, potrebbe migliorare il funzionamento familiare:

“Nella stanza di ogni bambino ci sono dei fantasmi. Sono i visitatori del passato non ricordato dei genitori: gli ospiti inattesi al battesimo.

Nelle situazioni migliori questi visitatori, ostili e non invitati, vengono cacciati dalla stanza dei bambini e ritornano alla loro dimora sotterranea. Il bambino fa la sua imperativa richiesta d’amore al genitore e proprio come nelle fiabe i legami d’amore proteggono il bambino e i suoi genitori dagli intrusi (…).

Persino nelle famiglie dove i legami affettivi sono stabili e forti in un attimo di disattenzione (…)
gli intrusi possono irrompere nel cerchio magico, così che un genitore e il suo bambino possono trovarsi a rappresentare un momento o una scena di un altro tempo con un’altra compagnia di attori (…)

Ma come spiegare un altro gruppo di famiglie che sembrano venire possedute dai loro fantasmi? Gli intrusi provenienti dal passato si sono stabiliti nella stanza dei bambini (…)

Anche se nessuno li ha invitati i fantasmi si insediano e mettono in scena la prova generale della tragedia familiare seguendo un lacero copione…” (S. Fraiberg “Il sostegno allo sviluppo”).


Ma chi sono i fantasmi nella stanza dei bambini? I misteriosi visitatori del passato non ricordato dei genitori?

Sono le sofferenze vissute da mamma e papà quando erano piccoli. Si tratta di dolori, rabbie, pianti soffocati, emozioni che proprio perché non elaborate, si ripresentano come ospiti intrusi nella stanza dei bambini influenzando il lavoro dei genitori che rischiano di rivalersi delle antiche frustrazioni sui propri figli.
Ѐ i figli a questo punto cercano di protestare nell’unico modo che conoscono: capricci, pianti, bugie, dispetti, comportamenti che lasciano i genitori spiazzati e fanno loro sorgere il dubbio di essere buoni genitori.

Sorge quindi l’esigenza di rivolgersi a uno specialista e lo psicologo può spesso essere un ottimo punto di riferimento per queste problematiche. Certo il lavoro sul bambino o ragazzino è essenziale, ma anche il lavoro sul genitore è importante. Risolvere un problema diventa quindi un lavoro di squadra dove genitori e figli, aiutati da un professionista, possono rielaborare nella stanza di terapia il loro vissuto come figli ma anche come genitori.

Ai genitori solitamente chiedo di porsi alcune domande:

  • Com’ero da piccolino?
  • Sono stato accolto e mi sono sentito accettato per come ero?
  • Mi sentivo sufficientemente amato dai miei genitori?
  • Potevo piangere liberamente o qualcuno me ne faceva vergognare?
  • Trovavo qualcuno che mi consolava quando piangevo o mi facevo male?
  • Come reagivano i miei genitori quando combinavo qualcosa o facevo capricci?
  • In famiglia si facevano delle preferenze?
  • Ero libero di esprimere emozioni e sentimenti, anche quelli negativi?
  • Ho realizzato pienamente me stesso?
  • Cerco di essere in contatto con le mie vere emozioni e con quelle di mio figlio?
  • Capisco sempre perché piange il mio bambino?
  • Che aspettative ho nei confronti di mio figlio, lo volevo diverso?
  • Accetto mio figlio “proprio così com’è”?
  • Gli permetto di esprimere tutte le sue emozioni o gliene proibisco qualcuna?
  • Permetto a mio figlio di essere sé stesso?
  • Sono un genitore apprensivo?

Come dicevo all’inizio, già porsi delle domande è importante e rappresenta il cercare di essere “buoni genitori”.
Senza consapevolezza, bisogni inappagati, desideri insoddisfatti, esigenze disattese confondono tutti i rapporti e i “fantasmi” alla fine finiscono per irrompere, anche se non desiderati, nella stanza dei bambini.

Bibliografia
A. Lia “Abitare la menzogna”, (2013)
S. Fraiberg, “Il sostegno allo sviluppo”, (1999)